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All'università di Udine attivo l'impianto pilota di estrazione con fluidi supercritici

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È stato inaugurato oggi nel Dipartimento di Scienze degli alimenti dell’Università di Udine l’ “impianto pilota di estrazione con fluidi in fase supercritica”. L’impianto, che si basa su una tecnologia verde, eco-compatibile e a basso impatto ambientale, è in grado di estrarre sostanze naturali da materiale vegetale anche costituito da scarti dell’industria agro-alimentare, ottenendo sostanze naturali purissime, i cosiddetti “nutraceutici”, il cui consumo contribuisce al mantenimento dello stato di salute e alla prevenzione di diverse patologie.
L’acquisto dell’ impianto pilota, è stato parzialmente finanziato dal Progetto Ager bando 2009 per l’Enologia. Sarà utilizzato non soltanto dall’ateneo per l’attività di ricerca e didattica, ma anche messo a disposizione di aziende del territorio che, attraverso la collaborazione con l’Università di Udine potranno conoscere, valutare ed eventualmente adottare nei propri processi produttivi questa tecnologia innovativa.

«Grazie a questo nuovo impianto – ha sottolineato il rettore Cristiana Compagno – l’Università di Udine potrà mettere a disposizione del tessuto imprenditoriale il più avanzato know-how delle “tecnologie verdi”, contribuendo così a un reale progresso tecnologico all’insegna della sostenibilità del sistema agro-alimentare».

L’impianto pilota utilizza fluidi supercritici, che appartengono alla categoria dei solventi verdi, eco-efficienti, non tossici per l’uomo, perché non lasciano residui nocivi negli estratti, né dannosi per l’ambiente. «I fluidi supercritici – ha spiegato Carla Da Porto, responsabile dell’impianto e coordinatore scientifico del progetto Ager - sono una valida alternativa all’uso dei solventi organici, noti per cancerogenicità, tossicità ed emissione nell’ambiente di composti organici volatili (voc) e, non ultimo, per le onerose e complesse operazioni di smaltimento che richiedono dopo l’uso. L’anidride carbonica è il fluido supercritico più utilizzato in quanto raggiunge le condizioni critiche facilmente, è economica, sicura, non danneggia lo strato di ozono, non contamina prodotti e ambiente ed è riciclabile dopo il recupero dell’estratto».

In particolare, «l’applicazione dei fluidi supercritici ai sottoprodotti dell’industria agro-alimentare – dice Da Porto, costituisce il primo passo per attivare la filosofia della ‘bio-raffineria, ossia della trasformazione sostenibile di biomasse in una ampia gamma di bio-prodotti (alimenti, mangimi, prodotti chimici, materiali) e di bioenergia (biocarburanti, energia e/o calore), con la creazione di filiere industriali costituite da processi diversi e collegati in serie tali per cui lo scarto del processo a monte rappresenta la materia prima del processo a valle». Una logica che consentirebbe «sia lo sfruttamento ottimale della componente organica – conclude Da Porto - , sia l’ottenimento di prodotti che fanno riferimento a mercati diversi (alimentare, cosmetico, farmaceutico, energetico e dei materiali) con conseguenti maggiori garanzie di stabilità del piano industriale applicabile alla lavorazione dei sottoprodotti».

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