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Intervento del Prof. Francesco Di Virgilio sulla ricerca scientifica dell'Ateneo di Ferrara

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La necessità di valutare l’attività delle Istituzioni di istruzione superiore e ricerca è sempre stata ben presente alla Comunità Scientifica internazionale, ma nel nostro Paese ha incontrato infinite difficoltà ad essere riconosciuta, a volte da parte degli stessi ricercatori. Una delle giustificazioni spesso portate a sostegno di questa presunta impossibilità di valutare la “produzione del sapere” è l’ obbiettiva difficoltà di identificare un sistema di valutazione rigoroso e condiviso.
Tuttavia, chi opera all’ interno della sistema della Scienza internazionale sa bene che al di fuori dei nostri confini sono da tempo utilizzati per la valutazione delle Istituzioni scientifiche, ed a volte di singoli ricercatori, sistemi di valutazione quantitativi basati essenzialmente sulla misurazione dell’ unico prodotto universalmente riconosciuto dell’ attività di ricerca, ovvero le pubblicazioni scientifiche. Uno dei sistemi che attualmente si ritiene rispecchi più fedelmente il “successo scientifico”  di un ricercatore è il cosiddetto indice di Hirsch (Hirsch-index, o più brevemente h-index).

Questo indice distilla il successo di un ricercatore (o di un letterato, o di un economista, o di un qualsiasi autore che abbia pubblicato un’ opera liberamente accessibile al pubblico) in un numero che indica la rilevanza delle sue pubblicazioni (delle sue “scoperte”) sulla base delle  citazioni ricevute sulla letteratura scientifica internazionale. La logica di questo sistema di misurazione è che “la scoperta” riportata in un articolo scientifico (o la teoria descritta o l’ analisi filosofica) è tanto più importante quanto più spesso quel determinato articolo è citato, commentato, analizzato, o persino criticato da altri scienziati o studiosi. Tanto più alto è l’h-index, tanto più considerata è la produzione scientifica del ricercatore e di conseguenza tanto più autorevole sarà il ricercatore stesso. In effetti, l’h-index si calcola in modo un po’ più complesso che non attraverso la mera sommatoria delle citazioni che gli articoli di un ricercatore hanno ricevuto, ma in questo contesto ciò non è molto rilevante.

Il grande vantaggio dell’h-index è che si calcola molto rapidamente, si esprime con un numero, e permette la comparazione di ricercatori operanti in settori anche molto lontani, come la medicina e la fisica, la chimica e l’epidemiologia, e persino le scienze umane, anche se bisogna sottolineare che quanto più si usa l’h-index per analisi comparative tra discipline distanti tra loro, tanto più diminuisce l’accuratezza del dato. Infatti, bisogna ricordare che ci sono campi del sapere, come per esempio l’ingegneria, l’architettura o le scienze giuridiche, ancora abbastanza difficili da valutare tramite l’h-index. Inoltre, l’h-index è anche piuttosto grossolano perché, essendo comune in molti settori scientifici la condivisione dei lavori (“multiauthorship”), non permette di isolare il contributo di una dato ricercatore al successo di una determinata pubblicazione magari citatissima. Tuttavia, pur in presenza di queste limitazioni, l’h-index si sta affermando nella Comunità Scientifica internazionale come un utile parametro di valutazione quantitativa della bontà della produzione scientifica di singoli ricercatori e di Istituzioni scientifiche. Recentemente, anche il nostro Ministero dell’ Istruzione, Università e Ricerca (MIUR) ha iniziato a sperimentare l’utilizzo dell’h-index attraverso il bando di progetti riservati a ricercatori che abbiano riportato un h-index superiore a 25 negli ultimi dieci anni.

In questi ultimi mesi l'h-index è stato utilizzato da un gruppo di accademici italiani residenti in Inghilterra, coordinati dal Dr Mauro Degli Esposti e raccolti nella VIA Academy, per valutare e classificare i ricercatori italiani in base all' h-index. I ricercatori di Manchester hanno valutato oltre 1600 ricercatori italiani residenti in Italia ed all'estero ed afferenti a tutte le discipline,  raccogliendo in un' accademia virtuale di "top italian scientists" (TIS) quelli con un h-index superiore a 30. Poi, i ricercatori inglesi hanno classificato le Istituzioni italiane in base al numero di TIS presenti in ognuna di esse. In questa classifica si piazza al primo posto l' Ateneo di Padova, con 89 TIS. Ferrara è dodicesima con 34 TIS. Quindi, la VIA-Academy ha normalizzato il numero dei TIS in base alle dimensioni dell' Ateneo.

L' Ateneo patavino conta 2371 scienziati/docenti/ricercatori, mentre Ferrara solo 670. Questa normalizzazione porta ai primi due posti la Scuola Normale di Pisa e l’ Istituto S. Anna di Pisa, e fa balzare l'Ateneo ferrarese al terzo posto, con Padova che scende al quinto posto. Tuttavia, se consideriamo che le prime due Istituzioni, la Scuola Normale ed il S. Anna di Pisa sono Istituzioni di Istruzione Superiore con uno statuto speciale ed un sistema di reclutamento dei Docenti non paragonabile a quello delle altre Istituzioni Universitarie pubbliche, ecco che l’Ateneo Ferrarese sale al primo posto tra le Università italiane.

La classifica della VIA-Academy ha avuto un' autorevole convalida proprio dal MIUR, il quale ha reso noti i premi assegnati per il 2010 alle Università italiane in base ai risultati ottenuti nella ricerca e della didattica. In base alla valutazione del MIUR, l'Università di Ferrara si colloca al quinto posto tra i migliori Atenei italiani. Quindi, il nostro Ateneo si colloca al primo posto in Italia in base alla valutazione della VIA-Academy inglese, ed al quinto posto in base alla classifica del Ministero.

Può essere forse sorprendente per alcuni che un Ateneo di medie-piccole dimensione, a volte considerato periferico, superi tanti altri Atenei più grandi, più ricchi, più blasonati. Certamente non è sorprendente per chi nell’Università di Ferrara da tanti anni lavora e conosce da vicino il valore ed il prestigio internazionale dei suoi ricercatori e la cura attenta ed appassionata che viene dedicata allo sviluppo delle attività di ricerca e di trasferimento tecnologico. Queste buone notizie saranno certamente un ulteriore incentivo per il nostro Ateneo a proseguire, pur in un momento così difficile per l’Università e per il nostro Paese, nella sua attività di sviluppo e promozione della conoscenza.

Francesco Di Virgilio
Delegato del Rettore alla Ricerca e trasferimento tecnologico, spin-off, brevetti

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