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Università di Verona prima al mondo per gli studi sul rene a spugna midollare

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Il team della Nefrologia dell’università di Verona primo nella classifica mondiale sulla ricerca nel campo del rene a spugna midollare. Ad affermarlo la Johns Hopkins University di Baltimora che, dopo un’attenta analisi dei lavori clinici nei diversi settori della medicina degli ultimi anni, compresa la nefrologia e i suoi settori specifici, ha stilato una classifica dei “migliori al mondo” nei vari ambiti. Il team scaligero coordinato da Antonio Lupo, direttore della Nefrologia dell’ateneo e composto dalla dottoressa Antonia Fabris e dal professor Giovanni Gambaro nel periodo della sua attività presso la Nefrologia di Verona, non solo ha guadagnato il primo posto nell’ambito  degli studi sul rene a spugna midollare, ma vede Gambaro, Fabris e Lupo posizionarsi rispettivamente ai primi tre posti nella classifica dei migliori nefrologi del pianeta che trattino di tale patologia rara.
“Il gruppo della Nefrologia di Verona - spiega Antonio Lupo - s’interessa di questa patologia sin dagli anni 80 e, nel corso di questo periodo, ha raccolto una delle casistiche più numerose al mondo che ha permesso, partendo dalla osservazione clinica e passando successivamente ad indagini più approfondite, di portare importanti contributi alle conoscenze patogenetiche, fisiopatologiche e terapeutiche di questa malattia renale”.

Il rene a Spugna Midollare, che deve il suo nome alla presenza nella parte midollare del rene di piccole “ cavità “ come quelle che si osservano nelle spugne, fa parte delle Malattie malformative cistiche del rene. L’incidenza di questa patologia è di circa l’1% nella popolazione generale, ma diventa del 15-20% nei pazienti che hanno calcolosi renale recidivante che è il modo più frequente con cui questa malattia si presenta.

“Partendo da un’ attenta osservazione clinica e dalla paziente raccolta di dati - aggiunge Lupo - si sono progressivamente potuti documentare il carattere familiare della malattia, indagare i geni coinvolti nella sua patogenesi e le correlazioni genotipo/fenotipo, perché ciascun caso si manifesta in un modo differente.  Abbiamo, inoltre, potuto indagare le complesse alterazioni dei alcune funzioni dei tubuli renali di questi pazienti, la frequenza e il nesso fisiopatologico con altre patologie associate quali l’alterato metabolismo minerale dell’osso, sviluppare dei principi di terapia per  neutralizzare le conseguenze della alterazioni tubulari, ridurre gli episodi di calcolosi e migliorare la mineralizzazione ossea”.

Una ricerca di tipo traslazionale, dunque, in cui, partendo dall’osservazione di dati clinici e di laboratorio, si è passati all’indagine delle complesse alterazioni genetiche e biomolecolari alla loro base.

“La soddisfazione personale per il riconoscimento di questi anni di lavoro è naturalmente molto grande sia per la Nefrologia di Verona, sia per l’Università perché si dimostra che ricerca clinica e ricerca di base non sono campi separati ma, nel giusto contesto, si  sviluppano insieme nell’ottica di un migliore approccio alle diverse patologie”.

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