In libreria la storia della scoperta dell’Homo naledi
A raccontarla - nel volume da pochi giorni in libreria “Il mistero di Homo naledi. Chi era e come viveva il nostro lontano cugino africano: storia di una scoperta rivoluzionaria” (Mondadori) - è uno dei suoi protagonisti, Damiano Marchi, paleoantropologo del dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, l’unico studioso italiano chiamato a partecipare al workshop scientifico internazionale su Homo naledi.
Venerdì 20 maggio, alle ore 18.15, Damiano Marchi sarà ospite della trasmissione di Rai Tre Geo&Geo per presentare il suo volume.
Esperto nello studio degli arti inferiori e dell’evoluzione della locomozione, Marchi, insieme ad altri quaranta paleoantropologi provenienti da tutto il mondo, ha analizzato i fossili rinvenuti a Rising Star, tracciando ipotesi sulle abitudini e il comportamento di questo nostro remoto cugino. Alto circa un metro e mezzo, dotato di mani adatte ad arrampicarsi sugli alberi e, insieme, di gambe perfettamente in grado di camminare in posizione eretta, con un cervello piccolo come un’arancia, Homo naledi unisce caratteristiche arcaiche e moderne.
Nella Camera di Dinaledi, dove Homo naledi è stato trovato, giacevano i corpi di almeno quindici individui di varie età. Come e perché erano giunti in un luogo così remoto? Possibile che la presenza di tanti resti testimoni la più antica forma di deposizione intenzionale dei morti mai scoperta? E quando è realmente vissuto Homo naledi: 2 milioni o 500.000 anni fa, visto che entrambe le ipotesi sono tuttora aperte? In questo libro, Marchi ricostruisce il complesso lavoro del paleoantropologo che, con la pazienza di un detective scrupoloso, esamina ogni minimo frammento fossile per trovare nuove risposte alle domande che gli scienziati si pongono sull’origine del genere umano. In qualsiasi epoca sia vissuto, l’«uomo stella» ci costringe infatti a rivedere consolidate teorie sull’evoluzione e a riconsiderare anche noi stessi non più come rappresentanti privilegiati di un «mondo a parte», ma come il frutto di un processo che, attraverso gli stessi meccanismi, ha portato sia all’Homo sapiens sia a tutti gli esseri viventi con cui condividiamo il pianeta.
Damiano Marchi, paleoantropologo del Dipartimento di Biologia dell’università di Pisa, per sei anni visiting assistant professor alla Duke University di Durham (Stati Uniti) e per un anno ricercatore all’Università del Witwatersrand di Johannesburg, è il solo italiano chiamato a far parte del team guidato dal paleontologo Lee Berger a cui si deve lo straordinario ritrovamento di Homo naledi.