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Pubblicata ricerca che potrebbe ispirare memorie magnetiche innovative

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Uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Communications dimostra per la prima volta la fattibilità di un metodo per registrare informazioni che la comunità scientifica ritiene promettente per realizzare memorie magnetiche più efficienti e performanti. La ricerca è stata condotta dal prof. Massimo Ghidini, ricercatore presso il Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra dell'Università di Parma, e dal dott. N. D. Mathur del Department of Materials Science dell'Università di Cambridge, dove Ghidini è visiting scientist e conduce vari progetti su materiali magnetici e magnetoelettrici impiegando principalmente tecniche di imaging (anche con luce di sincrotrone, grazie a una stretta collaborazione con Diamond Light Source). Lo studio ha anche beneficiato dell'importante contributo del dott. Raffaele Pellicelli, del Dipartimento di Fisica e Scienze delle Terra dell’Ateneo.

Nella moderna fisica dei materiali il magnetismo occupa un posto importante per le sue applicazioni, che vanno dai magneti permanenti (calamite) alle memorie non-volatili (hard disk o dischi rigidi) dei personal computer. Proprio gli sviluppi recenti della tecnologia dei dischi rigidi sono un ottimo esempio di come dalla ricerca accademica possano scaturire ricadute applicative di grande portata.

Solo nove anni separano infatti la scoperta dell'effetto magnetico della magnetoresistenza gigante (effettuata indipendentemente da Albert Fert e Peter Gruenberg nel 1988 e premiati per questo col Nobel nel 2007) dalla sua applicazione nel primo disco rigido multigigabyte prodotto da IBM nel 1997. Già nel 1999 questa tecnologia innovativa aveva soppiantato tutte le altre e reso possibile un aumento senza precedenti della densità di registrazione (e quindi della capacità - ovvero il computo, misurato in gygabyte, dei dati registrabili nel disco rigido).

Si ritiene oggi che per soddisfare la domanda di densità di registrazioni sempre più elevate occorrano concetti innovativi, dato che la presente tecnologia sta per raggiungere i suoi limiti assoluti. Varie idee sono attualmente vagliate, fra le quali quella di utilizzare campi elettrici per scrivere le informazioni in un materiale magnetico. Questa idea, per quanto a prima vista inusuale dato che, come è ben noto, i materiali magnetici "rispondono" a campi magnetici e non a quelli elettrici, consentirebbe di aumentare notevolmente la densità di registrazione e nello stesso tempo di ridurre drasticamente i consumi. Tuttavia essa necessita, per la sua realizzazione, di materiali speciali, in natura molto rari, detti "magnetoelettrici", nei quali magnetismo ed elettricità sono accoppiati.

Nel lavoro Non-volatile electrically driven repeatable magnetization reversal with no applied magnetic field (M. Ghidini et al., Nature Communications, 4:1421 doi: 10.1038/ncomms2398 (2013)) gli autori mostrano che un campo elettrico può controllare il magnetismo in maniera riproducibile e non-volatile, come nelle memorie magnetiche.

Il materiale "magnetoelettrico" è artificiale, nella fattispecie un composito, costituito da due materiali intimamente connessi, di cui uno risponde deformandosi meccanicamente quando gli si applica un campo elettrico. Lo stress meccanico così sviluppato viene quindi trasmesso all'altro costituente, magnetico, e ne modifica le proprietà a causa del ben noto fenomeno della magnetostrizione.

I ricercatori dimostrano che in condizioni opportune la modifica delle proprietà magnetiche può avvenire esattamente come nel funzionamento di una memoria magnetica. Da questi risultati, i ricercatori deducono un protocollo generale (rappresentato in figura) per il controllo elettrico dell'informazione magnetica, che potrebbe ispirare la fabbricazione di prototipi di dispositivi dimostratori di memorie innovative.

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