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La pesca a strascico devasta gli ecosistemi marini profondi

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Lo strascico è tra i metodi di pesca più diffusi al mondo ma, al contempo, è anche tra le cause principali di degradazione dei fondali marini. Questa pratica di pesca risale alla seconda metà del XIV secolo e, negli ultimi trenta anni, è cresciuta esponenzialmente. A causa del progressivo impoverimento delle risorse ittiche costiere, questa attività ha iniziato ad essere praticata sempre più in profondità, anche al fine di catturare specie di elevatissimo valore commerciale come il gambero rosso (Aristeus antennatus).
Lo studio pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Science (http://www.pnas.org/content/early/2014/05/14/1405454111.full.pdf+html) e condotto da un team italo-spagnolo guidato dal Prof. Antonio Pusceddu dell’Università Politecnica delle Marche (Ancona) ha evidenziato gli ingenti danni provocati dalla pesca a strascico sulla biodiversità e sul funzionamento degli ecosistemi marini profondi.

Nell’ambito di un progetto di ricerca finanziato dalla Comunità Europea (HERMIONE, Hotspot Ecosystem Research and Man’s Impact On European Seas) i ricercatori hanno studiato i livelli di biodiversità e i tassi di degradazione della materia organica nei sedimenti raccolti durante una campagna oceanografica effettuata nel 2011 presso il canyon sottomarino “La Fonera” situato lungo le coste spagnole del Mediterraneo Occidentale.  Lo studio ha messo a confronto sedimenti a 500 m di profondità esposti ad attività intensiva di strascico e sedimenti non esposti, a profondità comprese tra i 500 e i 2000 m.

I risultati dello studio rivelano che nei sedimenti esposti ad attività intensiva di pesca a strascico i valori di abbondanza e biodiversità della meiofauna (piccoli animali di taglia compresa tre i 30 e i 500 micrometri, elemento chiave nelle reti alimentari negli ambienti marini profondi) sono rispettivamente 80 e 50% inferiori a quelli presenti in sedimenti non esposti allo strascico. Gli effetti negativi dello strascico sono documentati anche dalla diminuzione della biodiversità dei nematodi (la componente dominante della meiofauna a queste profondità), il cui numero di specie diminuisce di circa il 25%. Nell’insieme, le comunità presenti nei sedimenti esposti allo strascico a 500 m di profondità risultano assai differenti da quelle presenti nei sedimenti non strascicati alla medesima profondità. Lo studio rivela inoltre che i sedimenti esposti allo strascico risultano fortemente impoveriti (oltre il 50%) di materia organica (il cibo degli organismi che vivono a queste profondità) così come risultano fortemente ridotti (circa del 40%) i tassi di degradazione del carbonio, una delle principali funzioni ecosistemiche negli ambienti marini profondi.

Le conseguenze indotte dalla pesca a strascico sulla struttura dei sedimenti, sulla biodiversità e sul funzionamento degli ecosistemi marini profondi richiamano gli effetti catastrofici indotti dall’erosione terrestre causata dall’uomo e producono un degrado ambientale non dissimile da quello presente nei campi agricoli abbandonati ed esposti all’impatto antropico. In definitiva, la pesca a strascico sembra in grado di trasformare larghe porzioni della scarpata continentale profonda in “deserti” faunistici e di produrre paesaggi marini fortemente degradati.

Gli ambienti marini profondi, l’ecosistema più vasto degli oceani, giocano un ruolo chiave nel funzionamento globale del nostro pianeta. Inoltre, tali funzioni sono in gran parte dipendenti dalla biodiversità. La pesca a strascico è effettuata lungo i margini continentali di tutti gli oceani a profondità sempre maggiori. Pertanto, la perdita di biodiversità e la compromissione delle funzioni ecosistemiche indotte da questa attività di pesca potrebbero determinare gravissime conseguenze su scala globale.

I risultati di questo studio richiamano pertanto la necessità di azioni immediate per una gestione sostenibile della pesca in ambienti marini profondi.

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