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In che modo il nostro cervello “traduce” un suono in un’azione?

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Sappiamo riconoscere un’azione dal suono che produce. Ad esempio dal rumore di passi è facile distinguere se una persona sta camminando, correndo, saltando o salendo le scale. Ma come avviene questo meccanismo di “traduzione” fra suoni e azioni? A svelarlo un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Plosone e realizzato dal laboratorio Azione – Percezione dell’Università di Verona. A fare da “cavie” per questo studio,  degli skaters professionisti che, per un anno, sono stati sottoposti a test e analisi del gruppo di ricerca composto da Ivan Camponogara, Stefano Papetti, Davide Rocchesso e Federico Fontana sotto la guida di Paola Cesari, professore associato di Metodi e didattiche delle attività motorie.
La ricerca. I ricercatori hanno testato degli skaters professionisti nella loro abilità di controllare e simulare l’holly, il tipico salto dello skateboard, evocandolo attraverso il suono che questo produce. La performance degli skater è stata poi confrontata con quella degli studenti di scienze motorie della stessa età e con persone anziane attive fisicamente di età compresa tra 75 e 80 anni.

Ai soggetti testati è stato chiesto di stare in piedi in equilibrio su due pedane che, vibrando, rilasciavano suoni simili a quelli di un “viaggio” sullo skateboard dove, ad un certo, punto veniva simulato un salto. Di ciascun individuo sono state misurate la modulazione delle forze impresse sotto i piedi e le sinergie date dalle contrazioni dei muscoli degli arti inferiori.

Dalla ricerca è emerso che, nell’arco di un secondo (tempo entro il quale si svolgeva il suono che simulava il salto dello skateboard), solo gli skater sono stati in grado di modulare le forze sotto i piedi esattamente come avrebbero fatto se l’azione l’avessero fatta realmente. Soltanto loro sono inoltre stati in grado di anticipare l’azione del salto contraendo in modo appropriato i muscoli degli arti inferiori già 200 millisecondi dopo l’inizio del suono del salto, mostrando così di essere in grado di controllare on-line l’intera sequenza del movimento

I risultati. Una delle ipotesi dei ricercatori è che quando sentiamo il suono prodotto da un gesto, il cervello crei una simulazione interna dell’azione e lo faccia attivando in forma subliminale quelle sinergie neuro-motorie che si selezionerebbero se quell’azione fosse eseguite realmente. “L’aspetto interessante di questa ipotesi è che il “riconoscere” qualcosa, ad esempio un gesto, un suono, un’immagine, non sia una operazione prettamente cognitiva ma possa assumere caratteri di tipo motorio” spiega Paola Cesari. “Da un punto di vista funzionale questo risulterebbe critico per la sopravvivenza della specie in quanto permetterebbe lo sviluppo di capacità fondamentali quali ad esempio l’imparare a controllare on line e a pre-programmare le azioni che compiamo”.

“Questo tipo di risultato – aggiunge la docente - è inoltre importante in quanto indica che anche il solo ascolto di un rumore può evocare l'azione che lo ha prodotto e attivare le sinergie motorie necessarie. La resa sonora dell'azione umana può quindi trovare applicazioni interessanti nella rieducazione motoria di patologie percettivo-motorie specifiche”.

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