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I 23 centri italiani di trapianto di fegato riuniti per discuteredella nuova terapia contro l'epatite C

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L’Italia sarà in grado di sostenere la spesa per i nuovi farmaci che garantiscono la guarigione dal virus dell’epatite C in un’elevata percentuale di pazienti? A questo interrogativo di grande attualità proveranno a dare una risposta i maggiori esperti nazionali e internazionali provenienti dai ventitré centri italiani di trapianto di fegato, riuniti a Stresa il 19 e 20 maggio prossimi, per l’International Congress on Viral Hepatitis and Organ Transplantation.
La seconda edizione del congresso, sotto l’egida del Centro Nazionale Trapianti, dell’Istituto Superiore di Sanità, dell’Università degli Studi dell’Insubria, dell’Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi di Varese e delle principali Società Scientifiche Nazionali nel settore dell’epatologia e dei trapianti d’organo, mira a fornire un’esperienza unica di confronto e aggiornamento a tutti gli attori coinvolti nella gestione dei pazienti candidati o sottoposti a trapianto di organo solido e affetti dai virus dell'epatite B o C o da HIV e in particolare a comprendere se ai trapiantati di fegato potrà essere garantita la cura con i nuovi super farmaci.

Ogni anno in Italia vengono effettuati circa mille trapianti di fegato il 50% dei quali su pazienti affetti da virus dell’epatite C che abbiano sviluppato o la cirrosi o un tumore epatico. Uno dei limiti principali della riuscita del trapianto è che nel 100% dei casi si verifica una recidiva dell’epatite C, che in un 30% di casi porta nell’arco di 5 anni nuovamente allo sviluppo della cirrosi epatica. Focus principale di discussione del congresso è analizzare le strategie di utilizzo a seguito dell’introduzione in Italia e la sostenibilità economica dei nuovi farmaci per i soggetti trapiantati.

Le nuove terapie garantiscono la guarigione dall’epatite C nei soggetti non trapiantati nel 95% e oltre dei casi. «Questi nuovi farmaci segnano una svolta epocale nella terapia della epatite C – afferma il professor Paolo Grossi, professore ordinario di Malattie Infettive all’Università degli Studi dell’Insubria e second opinion infettivologica nazionale per le problematiche infettivologiche nel processo di donazione e trapianto - il problema sarà la sostenibilità economica: la cura è estremamente costosa, quasi 100mila euro solo per uno dei farmaci».

I nuovi farmaci sono stati approvati dalla Agenzia Europea del farmaco, EMA, adesso gli Stati dell’Unione devono procedere alla approvazione. «Nelle more dello svolgimento di questi passaggi burocratici - in Italia si attende l’autorizzazione dell’AIFA – in attesa della commercializzazione, abbiamo richiesto alle ditte farmaceutiche produttrici di distribuire gratuitamente i farmaci in casi selezionati di imminente esito infausto: ossia per quei soggetti che senza l’assunzione del farmaco sarebbero già morti» continua Grossi.

A Varese il farmaco viene somministrato a un paziente trapiantato di fegato e, come spiega il professor Grossi «la risposta è straordinaria, le cure che venivano somministrate in precedenza, a base di interferone, avevano effetti collaterali pesanti e non assicuravano la guarigione dalla epatite C: con le vecchie terapie la guarigione nei pazienti trapiantati si aveva in non oltre il 30 per cento dei casi, con le nuove ci si attende una percentuale di successo superiore al 90%».

Il Congresso rappresenta l’occasione per fare il punto della situazione in Italia, creare un network per elaborare una strategia gestionale del problema e, conclude il professor Grossi, cercare nello specifico «una soluzione per tutti i soggetti maggiormente vulnerabili: ossia i pazienti già trapiantati e quelli in lista d’attesa per ricevere un trapianto d’organo.

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